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Scegliere il disonore e la guerra?

Questa la profetica definizione di Winston Churchill di coloro i quali, alla fine degli anni Trenta, nel pieno della crisi dei Sudeti, sostenevano convintamente che con Hitler si dovesse parlare; e che dandogli un territorio appartenente alla Cecoslovacchia, Hitler finalmente non avrebbe più minacciato la pace. Fra queste anime belle c’era Joseph P. Kennedy, il padre di JFK. Grande imprenditore (anche di alcolici in era proibizionista), Kennedy viene inviato come ambasciatore americano a Londra. Ci arriva nel 1938 e ci resterà fino al 1940.

Matteo Luigi Napolitano

Matteo Luigi Napolitano

Nato a San Severo (FG) Il 3 marzo 1962, romano di adozione. Professore Associato di Storia della Diplomazia e delle Relazioni internazionali presso l’Università degli Studi del Molise. Delegato per le Relazioni Internazionali ed ERASMUS PLUS del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi del Molise. Consulente parlamentare. Delegato del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l'International Commitee for the History of the Second World War, The Hague. PARTECIPAZIONE A COMITATI SCIENTIFICI Membro del Comitato di referaggio della “Nuova Rivista Storica” (2017 a oggi) Membro del Comitato scientifico della collana storica delle “Edizioni dell’Orso” Membro del Comitato scientifico della Rivista “Res Publica” della LUMSA Delegato internazionale del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l’International Committee for the History of the Second World War Membro del CIMA (Machiavelli Inter-University Centre for Studies on the Cold War) di Firenze, dir. Ennio Di Nolfo, Leopoldo Nuti Membro del Collegio di Dottorato del Ricerca in Innovazione e Gestione delle Risorse Pubbliche, Università degli Studi del Molise (2006 ad oggi) Membri del Comitato Scientifico del Dictionnaire de la Diplomatie du Saint-Siège, Paris CNRF-Université de Paris IV-“Sorbonne”.
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«Potevano scegliere tra il disonore e la guerra; hanno scelto il disonore e avranno la guerra».

Questa la profetica definizione di Winston Churchill di coloro i quali, alla fine degli anni Trenta, nel pieno della crisi dei Sudeti, sostenevano convintamente che con Hitler si dovesse parlare; e che dandogli un territorio appartenente alla Cecoslovacchia, Hitler finalmente non avrebbe più minacciato la pace.

Fra queste anime belle c’era Joseph P. Kennedy, il padre di JFK. Grande imprenditore (anche di alcolici in era proibizionista), Kennedy viene inviato come ambasciatore americano a Londra. Ci arriva nel 1938 e ci resterà fino al 1940. Kennedy è peraltro convinto che il suo soggiorno londinese sarà breve; pensa infatti di presentarsi alle elezioni presidenziali, sicuro che batterà Roosevelt. In effetti, a Londra ci resterà pochissimo, ma per altre ragioni. Mentre Hitler sta cambiando la carta europea (annettendo l’Austria e prendendosi la regione dei Sudeti alla Conferenza di Monaco), Kennedy si fa notare per il suo pacifismo che ricorda quello di alcune odierne anime belle.

Kennedy ripudia la guerra, ma con una totale e deliberata ignoranza della natura di Hitler e della Germania nazista; tutto ciò abbinato alla sua insistenza che non si dovesse assolutamente permettere che la guerra rovinasse il commercio internazionale.

Il portafogli al posto del cuore.

Ecco perché Kennedy sostenne decisamente l’appeasement di Chamberlain (accontentare Hitler sull’errato presupposto che ogni sua nuova richiesta sarebbe stata anche l’ultima); Kennedy fece ciò anche a guerra ormai scoppiata, e anche dopo le dimissioni di Chamberlain e l’avvento di Churchill, il giorno stesso dell’attacco tedesco a Occidente (10 maggio 1940).

Peggiorò la sua situazione con le sue dichiarazioni pubbliche su una Gran Bretagna che, crollata ormai la Francia, non aveva più scampo e nessuna speranza di battere Hitler.

Era davvero troppo per Churchill, il quale chiese subito a Roosevelt il richiamo di quel molesto ambasciatore.

Kennedy si distinse anche per un’altra “profezia”: Hitler e Mussolini stavano bluffando. Forse occorreva andare a vedere il bluff, ammetteva; ma gli Stati Uniti non potevano far nulla se non appoggiare l’appeasement di Chamberlain per salvaguardare i commerci.

Molto diverso da Kennedy, ma in analoga direttrice “appeaser”, fu il filosofo e matematico Bertrand Russell.

Russell non rimase pacifista a vita. Lo confessò in una lettera ad Albert Einstein: «Ho favorito l’appeasement prima del 1939, erroneamente, come oggi so; non voglio ripetere lo stesso errore». E infatti, dopo il 1945 Russell divenne uno dei massimi propugnatori di una guerra preventiva all’URSS, inorridito dalle purghe staliniane, da quello che i russi avevano fatto alla Polonia in combutta con Hitler, e dal desiderio sovietico di impadronirsi dell’Europa dagli Urali al Reno.

Sempre nell’epistolario con Einstein, Russell confessava che il suo antico pacifismo lo aveva spinto a essere, dopo il 1945, più guerrafondaio che mai, sperando in una caduta di Stalin anche manu militari.

Da pacifista e appeaser verso Hitler, Russell finì per sensibilizzare i suoi connazionali a rendersi seriamente conto della minaccia russa, invitandoli a prepararsi alla difesa nazionale, e ciò per il maggior bene della pace mondiale e dell’umanità.

Negli anni seguenti Russell non ritenne più necessario che si attaccasse preventivamente l’URSS, ma credeva indispensabile mostrarle i denti quando necessario, per il bene della pace mondiale, realizzando la dissuasione non solo mostrandosi armati e pronti, ma anche in un contesto di eventuali iniziative guidate dalle Nazioni Unite (cosa, come sappiamo, assai più ardua da realizzare).

Il pacifismo passivo di cui Russell era stato protagonista in era nazista, lo aveva condotto a una tale evoluzione dello spirito.

La storia di Kennedy e di Russell richiama alla mente la nostra attualità. I politici parlano di pace, gli intellettuali fanno altrettanto, la gente comune li segue. La mia percezione è che si stia perdendo di vista il dovere di difendere noi e le future generazioni da un’aggressione alla quale altri Paesi si stanno ormai preparando. Parlo della Germania, della Finlandia, della Polonia, della Norvegia e degli Stati baltici, che hanno già innalzato il tetto delle spese militari senza attendere la von der Leyen o un cenno anglo-francese per muoversi.

La riflessione che posso consegnare ai miei posteri è la seguente.

Se avete dato un’occhiata alle spese militari russe, vi sarete resi conto che l’aumento delle stesse è esponenziale.

Dal 2000 al 2021 le spese militari della Russia sono aumentate da 9,3 miliardi di dollari a 65,9 miliardi di dollari. Sono, cioè, aumentate di oltre il 600%.

Il “Financial Times” e l’International Institute for Strategic Studies nel febbraio scorso hanno rivelato che la spesa militare russa ha di molto sorpassato tutti i bilanci che i Paesi europei dedicano alla difesa.

La spesa militare russa è infatti cresciuta di un altro 42%, fino alla stratosferica cifra di 13,1 trilioni di rubli. Rispetto al 2021 è arrivata dunque a 462 miliardi di dollari.

I conti della serva sono presto fatti: il bilancio militare della Russia ha sorpassato la spesa di tutti i Paesi dell’Unione Europea e della Gran Bretagna messi insieme. Secondo le stime, neppure nel 2025 la Russia fermerà le sue spese militari, che saliranno di un altro 13,7%, ossia a 15,6 trilioni di rubli (166 miliardi di dollari).

Perché nessuno ragiona di questo dati nei talk show o nei cortei? Perché nessuno cerca di interpretare il significato del vertiginosissimo aumento in venticinque anni delle spese russe nel campo degli armamenti?

Al confronto noi europei, presi tutti assieme, nel 2024 abbiamo aumentato le spese militari del 12%, fermandoci alla quota di 457 miliardi di dollari. Che diviso per 31 Paesi fa quasi quindici miliardi di dollari a Paese.

Ma si sa che c’è tra noi europei c’è chi mette di più e chi mette di meno.

Memento.

La Germania ha allocato per la difesa una spesa di 86 miliardi di dollari. Seguono il Regno Unito (81 miliardi di dollari) e la Francia (64 miliardi di dollari).

Come quota parte del PIL, l’Estonia ha riservato alla difesa il 5% e la Polonia il 3,35%: rispettivamente 1,7 miliardi di dollari e 28 miliardi di dollari.

«Potevano scegliere tra il disonore e la guerra; hanno scelto il disonore e avranno la guerra».

Spero che queste parole di Churchill non divengano la profezia nell’Europa di oggi.

© Matteo Luigi Napolitano, 2025

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